venerdì 28 novembre 2008

Zù Tano racconta...l'eruzione del 1930


L’11 settembre del 1930, mi ero svegliato presto per svolgere alcuni lavori che avevo prefissato nella mia piccola casa.
La mattina era calda e soleggiata, solo una leggera brezza da ponente increspava lievemente il mare.
La notte era stata serena e la rugiada era scesa copiosa, inumidendo ogni cosa. Intento a guardare il mare, aspettavo che il sole prepotente con i suoi raggi asciugasse l’umidità, prima di lavorare la terra del mio piccolo giardino.
Me ne stavo dunque comodamente seduto sul bisuolo quando all’improvviso, sentii la terra tremare sotto i piedi: un movimento quasi impercettibile che mi portò immediatamente a volgere lo sguardo verso il vulcano.
Una nuvola alta, carica di cenere, si sollevò dai crateri e in un attimo oscurò il cielo.
Nessun preavviso, nessun boato, all’apparenza nessuna eruzione: stavo assistendo a qualcosa che non avevo mai visto e il cuore mi batteva forte in petto. Corsi subito per strada e in pochi istanti giunsi in piazza. La gente sembrava abbastanza tranquilla, osservavano ciò che stava accadendo senza né paura né panico e questo mi rassicurò.

Gli strombolani sembravano non dare molta importanza a quel fenomeno e dopo una breve osservazione del vulcano ripresero le loro attività di tutti i giorni.
Alcuni coraggiosi si arrampicarono sulle pendici della montagna, mentre i pescatori imprudenti rimasero sulla spiaggia ad osservare il fenomeno continuando il loro lavoro.
Quando furono le nove e trenta circa, due violentissime esplosioni si susseguirono a distanza di pochi secondi. La terra cominciò a tremare violentemente e dal cratere si sprigionò una nuvola a forma di albero di pino, alta più del doppio del vulcano stesso.
Per circa quaranta minuti, scorie incandescenti caddero senza interruzione sul paese, mentre una valanga ardente scivolò lungo la Sciara del Fuoco e in minima parte s’incanalò lungo il vallone sopra la chiesa di S.Bartolomeo.
La gente, in preda al panico, cominciò a scappare in ogni direzione, cercando rifugio lì dove potevano.
Io mi trovavo sulla strada tra l’ufficio postale e la casa di Stefano. Corsi a più non posso, nel tentativo di schivare i lapilli e le scorie incandescenti che copiose cadevano sulle case, incendiandone alcune o distruggendole completamente.
La montagna era un palla di fuoco rovente e il fischio delle pietre che cadevano dal cielo era assordante.
Correndo mi ritrovai sulla spiaggia di Fico Grande dove il mare si stava ritirando per diversi metri. Mi sentivo come un topo in gabbia senza sapere né cosa fare né in che direzione scappare.
Guardai verso la montagna e quella visione apocalittica mi terrorizzò ancor di più; per un attimo ebbi paura che la nostra fine fosse giunta.
Mi misi al riparo sotto l’architrave del portone di una casa, con la speranza che non venisse colpita da qualche lapillo. Intanto i pescatori scappavano dalle spiagge cercando anche loro riparo.
Il mare fortunatamente avanzò per qualche decina di metri verso l’interno, lungo la costa, senza causare onde violente e dunque grossi danni a cose o a persone, le quali riuscirono in tempo a mettersi in salvo.
Quella visione comunque mi lasciò di sasso. Vedere il mare calmo trasformarsi di colpo, senza un alito di vento, in onde tempestose fu un’immagine che mi terrorizzò e che da quel giorno non potei mai più dimenticare.
Sotto un continuo bombardamento raggiunsi Stefano che sbigottito e anche lui nel panico, se ne stava al riparo sotto un architrave.
La gente continuava a scappare sempre più lontano dal vulcano e sempre più vicina al mare, tanto che ben presto gran parte della popolazione si ritrovò riversata lungo le spiagge, dove i pescatori, incuranti del pericolo di maremoto, erano pronti a mettere in mare le proprie barche per salvarli dall’ira dello Stromboli.
Decidemmo anche noi di fare lo stesso ma dovevamo raggiungere la spiaggia di Scalo Balordi, nel tentativo di aiutare Antonio e gli altri pescatori a mettere in mare le barche della nostra piccola flotta, cercando di portare in salvo più persone possibili.
Con grande difficoltà, correndo tra lapilli infuocati, case incendiate e fuochi che ardevano un po’ dappertutto, arrivammo alla spiaggia.
Già due barche erano pronte a prendere il largo, invitate da Antonio ad allontanarsi dalla costa il più presto possibile.

Sulla spiaggia rimanemmo Stefano, io e un altro pescatore che ci avrebbe dato una mano a mettere in mare un gozzo per metterci in salvo.
Dopo quasi un’ora passata sotto un bombardamento continuo, i lapilli infuocati cominciarono a cadere meno numerosi e nel giro di poco rimase solo la cenere a scendere copiosa dal cielo.
Quasi tutta la popolazione in poco tempo si ritrovò in mare, riunita sulle barche ben lontane dalla costa poiché era sempre a rischio di maremoto.
In lacrime assistevano impotenti alla distruzione delle proprie cose, a quello spettacolo apocalittico.
Stefano ed io a forti remate, raggiungemmo in breve tempo la barca di Antonio con le bambine, le ragazze e anche il parroco della chiesa di San Bartolomeo.
Quando tutte le barche furono affiancate, si alzò alta la preghiera al Signore, con rosari e canti inneggianti Dio e San Bartolomeo.
Rimanemmo per mare fino quasi al tramonto, quando la grande nuvola di cenere abbandonò la cima della montagna spinta da una brezza di Maestrale.
Poco dopo, un’alta colonna di fumo bianco si alzò dal mare, ai piedi della Sciara del Fuoco, prova che una colata lavica aveva raggiunto l’acqua e segno per gli anziani, che il pericolo era scampato e che avremmo potuto fare ritorno a riva.
Pian piano cominciammo a remare verso terra, accompagnati dall’incensante canto di preghiera delle donne.
Sbarcammo che era quasi sera, con l’isola ancora illuminata dai tanti focolai sparsi un po’ dappertutto così come il lato nord dell’isola, dove il cielo, rispecchiandosi lungo le lingue di lava, era di un rosso che metteva paura.
Un forte odore di bruciato e di zolfo ci accolse quando ad una ad una, con grande calma, sbarcammo tutte le persone che avevamo a bordo. Ognuno mestamente si avviò verso la propria casa nella speranza che non fosse stata distrutta.
Non sapevamo ancora l’entità dei danni, tanto meno se ci fossero stati dei feriti o dei morti ma nessuna delle persone che avevamo avuto a bordo lamentava dispersi e questo ci faceva ben sperare.
La notte coprì ogni cosa e nel buio ci sentivamo ancora più persi. Stefano ed io proseguimmo verso casa. Lungo la via si sentivano le grida di dolore e lacrime di chi aveva perso tutti i propri beni, costruiti in tanti anni di fatica.
La casa di donna Peppina era stata risparmiata, tranne il terreno coltivato dove tutte le piante erano andate perdute.
Le mura erano annerite e sui tetti si trovava una spessa coltre di cenere e pietre. Le porte di legno erano in parte bruciate e la vernice sembrava essersi sciolta come la cera di una candela.
Il silenzio avvolse l’isola e solo in lontananza si sentiva ancora il rumore delle pietre rotolare giù per la Sciara del Fuoco. Il cielo rosso fuoco incuteva timore, tanto che ebbi paura di tornare a casa e decisi di fermarmi a dormire lì con loro.
Ci barricammo in casa come topi, per paura che tutto potesse ricominciare, come se all’interno di quelle quattro mura fossimo al sicuro. Chiudemmo anche gli scuri per evitare che il rosso del cielo penetrasse fin dentro casa.
Con la paura negli occhi e nel cuore ci addormentammo, promettendoci che qualunque cosa fosse accaduta nella notte, non saremmo mai e poi mai usciti fuori.
Il sonno fu tormentato, non chiudemmo quasi occhio, con la speranza che facesse presto giorno. La luce del sole non fu mai così attesa, come balsamo per le nostre ferite.
Non appena albeggiò ci destammo e una volta fuori ci ritrovammo di fronte ad un’isola completamente stravolta, ridotta in gran parte ad una vasta e desolata terra bruciata.
Era incredibile vedere il vulcano apparire calmo e sereno, come se la causa di quel disastro non fosse stata lui. Era lì come sempre fumante, quasi a chiederci scusa e ad invitarci ancora a credere in lui.


Tratto da: Fabio Famularo “…e poi Stromboli” Edizioni Strombolibri 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

siamo felici di questa opportunità di sapere di Stromboli anche da lontano grazie. Gianni

Anonimo ha detto...

divertitevi a Stromboli voi che potete. Paolo