sabato 1 novembre 2008

Stromboli racconta...La festa dei morti


Una tradizione ormai persa nel tempo, così chiamata proprio perché di una vera festa si trattava, fatta di dolci, leggende, storie e racconti.
L’isola si preparava sempre con largo anticipo all’evento e tutti erano intenti, per diversi giorni, nel tentativo di rendere più belle le tombe dei propri cari ornandole il più possibile con fiori del luogo come buganville, gerani, gelsomini, ma anche fiori di campo come le “camilline bianche” o i gialli “rapuddi”, creando dei bouquet ricchi di profumi e colori.
Spasmodica era anche la ricerca del petrolio, che veniva prenotato nelle poche botteghe aperte in quel periodo molto tempo prima per paura di rimanere senza. Esso veniva utilizzato in gran quantità per le numerose lampade che per diversi giorni illuminavano a giorno il cimitero ma anche i tanti altari votivi sparsi lungo le strade, il monumento ai caduti delle guerre e alcuni luoghi particolari dove erano apparsi, secondo le tante leggende, fantasmi o strani fenomeni.
Mentre i grandi si affaccendavano in tutto ciò, noi ragazzini delle scuole ci recavamo al cimitero, per liberare delle erbacce le tante tombe abbandonate da tutte quelle persone che negli anni avevano lasciato l’isola in cerca di fortuna in terre lontane.
Scoprivamo volti che non avevamo mai veduto e storie che gli anziani ci raccontavano di ognuno dei loro amici, parenti o anche semplici sconosciuti che nella maggior parte dei casi portavano il cognome delle famiglie dell’isola ma anche di quelle che ormai si erano perse nel tempo.
Trattavamo quelle tombe con grande affetto e dopo averle ripulite per bene e data loro una mano di calce che i nostri genitori ci procuravano per l’occasione, andavamo a raccogliere i fiori nei prati nel tentativo di abbellirle ancor di più.
La cosa che noi ragazzi attendevamo con più trepidazione in quel periodo era la distribuzione delle “scarpe” da amici, vicini di casa e parenti.
La leggenda voleva che nella notte della vigilia del due di Novembre i defunti facessero visita alle case delle rispettive famiglie, lasciando come segno tangibile del loro passaggio dolci tipici, caramelle e frutta secca nelle scarpe dei ragazzi.
Noi riempivamo vecchi sacchi di juta con le poche scarpe a disposizione, facendocele anche prestare per l’occasione, ma la disputa più grande nelle famiglie era quella di accaparrarsi i grandi stivali da pesca dei padri e dei nonni, convinti che più fossero capienti più dolci avremmo ricevuto in dono.
Con i nostri sacchi giravamo per le vie del paese lasciando le scarpe nelle case dove eravamo certi che il giorno dopo avremmo potuto raccogliere un buon bottino.
Il mattino seguente era grande festa e all’alba, come facevano i pescatori nel ritirare le proprie reti, passavamo casa per casa a ritirare le scarpe, nella maggior parte dei casi stracolme di tante buone cose.
I dolci più ambiti erano i fruttini di pasta reale che con grande maestria i pasticcieri creavano rendendoli così gradevoli alla vista da farli sembrare reali.Tanti dolci ricordi rivivono ancora in noi che oggi adulti ripercorriamo ogni giorno gli stessi passi e gli stessi luoghi di un tempo, senza provare più le forti emozioni di allora, perse per colpa di chi si è voluto scordare del passato pensando sempre e solo al futuro, lasciandoci sempre più poveri.
Fabio Famularo
foto: Chiara Bertè

3 commenti:

Grande_Rio ha detto...

P.S. Come non poter lasciare commenti su questo blog.

alma ha detto...

Ciao grande Rio, come stai? Hai sempre i tuoi ricci selvaggi? Un abbraccio da Alma e Eliana

Anonimo ha detto...

cari Marci e Fabio...finalmente ho modo di comuncare con voi per farvi tantissimi auguri di Natale e buon anno,anche se in ritardo,ed una montagna di baci per il regalo,ancor più grande che state per farvi!!Fortuna che sono stata informata appena in tempo...mi sarei chiesta,altrimenti,di chi fosse il bambino accanto a voi!!!
Approposito Fabio,il libro è meraviglioso,l'ho letto tutto d'un fiato.Un abbraccio grandissimo Marcella(Acicastello)